Expectations about expectations: auspicabili effetti di un Piano europeo di Sviluppo Sostenibile

Introduzione (parte 1 di 3)

, di Simone Vannuccini

Expectations about expectations: auspicabili effetti di un Piano europeo di Sviluppo Sostenibile

La once-in-a-lifetime crisis che ha colpito l’Occidente negli ultimi anni ha contribuito a rendere evidenti i dilemmi strutturali su cui si è fondata la costruzione istituzionale europea; soltanto a causa della frattura di legittimità creatasi fra una constituency economica continentale ed una constituency politica nazionale - per usare i termini introdotti da Tommaso Padoa-Schioppa [1]- una crisi dei debiti privati statunitense è potuta trasformarsi in una crisi dei debiti pubblici nel Vecchio continente.

Le soluzioni alla crisi proposte dai leader europei, divisi fra incentivi contrastanti e vittime consapevoli della “veduta corta”, sono ad oggi una rappresentazione precisa delle forze in campo sullo scenario europeo: paura dell’azzardo morale da parte dei Paesi virtuosi, difficoltà di riforme nei Paesi dalle performance “viziose”, prevalenza delle questioni di politica interna su quelle europee, debolezza della politica nei confronti del sistema finanziario e del Rating, incapacità di reagire al crollo della fiducia popolare nelle risorse della Politica, intensificarsi delle sfide di caratura globale, a partire dall’immigrazione e dalla ristrutturazione radicale del sistema produttivo – e di converso del sistema dell’istruzione/occupazione – per far fronte alle spinte competitive provenienti da global production networks e global value chains efficienti e distribuite su scala mondiale. La dittatura dello “spread” o dei “podestà stranieri” come il Fondo Monetario Internazionale minacciano il funzionamento dell’economia reale, ma suggeriscono la presenza di problematiche tutt’altro che virtuali, in primis la pericolosa e crescente divergenza in termini di rischio-paese tra l’Europa settentrionale (la Germania, in massima misura) e quella mediterranea.

Il raggiungimento dell’Europa politica, ovvero di una chiara ripartizione federale di poteri e competenze, non è mai stato un frictionless process, dovendo ogni proposta di avanzamento fare i conti con le resistenze dell’assetto di potere prevalente e – per citare Machiavelli – di tutti coloro incapaci di pensare gli ordini novi. L’adozione della moneta unica, insieme con l’allargamento ai Paesi dell’ex blocco sovietico, avrebbe dovuto spingere all’estremo le contraddizioni europee, tanto da rendere non soltanto possibile, ma addirittura necessario, un salto qualitativo verso un governo federale europeo dotato di un bilancio adeguato e verso un parlamento bicamerale, organo legislativo e rappresentativo sia dei cittadini che degli stati federati.

Invece, né l’euro né le successive riforme istituzionali hanno sfruttato a fondo le finestre di opportunità offerte dallo squilibrio europeo. L’apprezzamento dell’euro sul dollaro ha difeso gli europei dall’inflazione e dai costi crescenti sia delle fonti energetiche che delle materie prime ed ha permesso di rendere realistici gli argomenti in favore di una “fine delle egemonie” (almeno economiche) a livello mondiale, ma una moneta senza governo non può sopperire alle competenze proprie di meccanismi istituzionali democratici. Nemmeno il Fiscal compact recentemente approvato può provvedere a colmare il gap di legittimità e di potere, e questo nonostante il nuovo trattato rappresenti comunque un passo avanti verso l’interdipendenza fiscale del Vecchio continente.

Stessa argomentazione vale per il fondo europeo di salvataggio EFSF-ESM, il cosiddetto firewall anticrisi, una barriera soggetta purtroppo agli stessi paradossi strutturali che affliggono l’Unione europea, ovvero l’assenza di un incentivo (o di un enforcement) a favore del coordinamento del comportamento dei Paesi europei. Come ho sostenuto altrove [2], in assenza di una garanzia finanziaria europea (Tesoro federale o bilancio comunitario aumentato) e nel caso di un effetto domino sulla solvibilità dei debiti nazionali, il meccanismo del fondo di salvataggio potrebbe comportare addirittura effetti negativi.

In questo contesto di nuovi squilibri, nuovi rischi e nuove opportunità, la ratio della proposta di un Piano europeo per lo sviluppo sostenibile (“Piano”, negli articoli che seguiranno) è precisamente quella di aggiungere una tessera al mosaico dell’Unione fiscale europea, federale sia in termini di prelievi fiscali continentali che di trasferimenti di risorse within-Europe.

Nei prossimi articoli delineerò in modo puntuale gli effetti di varia natura che il Piano dovrebbe generare nelle intenzioni dei suoi promotori, per poi discutere alcuni fatti stilizzati dell’industria e della ricerca europea, utili a capire le effettive possibilità espansive del Piano. Infine, elencherò alcune delle proposte recentemente portate all’attenzione del dibattito politico.

Seguiranno le altre parti dell’articolo «Quali effetti di un Piano europeo di sviluppo?», «Dare una direzione al Piano» e «Eurobonds e Piani alternativi».

Fonte immagine Flickr

Note

[1Moro D. & Vannuccini S. (a cura di, 2011) – Il Governo di un’Economia federale sovranazionale e le sue istituzioni nell’esperienza europea, Istituto di Studi Federalisti Altiero Spinelli.

[2Si veda ad esempio http://www.eurobull.it/4594

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