Un oleodotto chiamato “amicizia”, ma i conflitti non mancano
L’oleodotto Druzhba (“Amicizia”) ha alcune peculiarità: si tratta dell’oleodotto più lungo del mondo (circa 4000 km.) ed è stato realizzato negli anni ’60 per trasportare energia verso i paesi allora parte dell’URSS o del COMECON. L’oleodotto, giunto in Bielorussia, si divide in due rami: il ramo nord si dirige verso la Polonia e il Land della Sassonia-Anhalt, ex-DDR; il ramo sud si dirige verso Ucraina, Repubblica ceca, Slovacchia e Ungheria.
L’oleodotto Druzhba attraversa località che oggi fanno parte dell’Unione europea
A parte l’Ucraina, si tratta tutti di stati o località che oggi fanno parte dell’Unione europea. L’oleodotto trasporta, da solo, il 50% delle intere forniture russe di petrolio all’Unione e copre il 12,5% dei suoi consumi petroliferi. Resta il fatto che, come un anno prima, l’Unione si è scoperta senza un’unica strategia a fronte di possibili interruzioni di forniture che, prima ancora dei piccoli stati originariamente destinatari o di transito, nel caso specifico avrebbero colpito la sua principale economia.
Nel corso della disputa, Putin non ha mancato di far notare che le imprese russe (Gazprom in particolare) sono interessate ad espandersi sul mercato europeo ed a servire direttamente i consumatori europei. La contesa sulle pipeline che transitano in Bielorussia non deve però farci dimenticare che la Russia con le sue società è già presente sul mercato dell’UE e che quindi quello che Putin cerca è un’ulteriore espansione della presenza russa.
Chi controlla le pipeline?
Infatti, l’allargamento del 2004 ai paesi dell’Europa centro-orientale ha avuto come conseguenza l’apporto all’UE di importanti infrastrutture di trasporto del greggio russo che transitano sul territorio dei paesi baltici e che sono gestite da società miste costituite dai governi locali e da società petrolifere russe.
Oltre che alle infrastrutture locali, le società russe si sono anche interessate alle società petrolifere
Queste ultime, poco prima dell’ingresso formale dei paesi baltici nell’Unione, hanno portato a termine alcune operazioni di acquisizione di società locali presenti nello sfruttamento di giacimenti di petrolio greggio nel Mar Baltico. Ad esempio, la società petrolifera russa Lukoil si appresta a sfruttare un giacimento a pochi chilometri da Kaliningrad. In Lituania è stato realizzato il terminale petrolifero di Butinge su cui transitano circa 14 milioni di tonnellate all’anno di petrolio russo. Sul territorio della Lettonia, invece, è stata realizzata nel 2002 una pipeline gestita dalla società Venstpils Nafta, con una capacità di trasporto di 16 milioni di tonnellate all’anno di greggio, di cui lo stato lettone ha il 43%, mentre il resto è detenuto da una società privata locale alla quale è interessata Transneft, la società pubblica russa che ha in gestione, in regime di monopolio, tutte le pipelines russe che esportano greggio verso l’estero.
Oltre che alle infrastrutture locali, le società russe si sono anche interessate alle società petrolifere che operano nei paesi baltici. Ad esempio, la società la società petrolifera russa Iukos ha acquistato il 53% del complesso petrolifero lituano Mazeikiu Nafta [2]mentre la società Gazprom detiene il 34% della società lettone Latvijas Gaze e il 37% della società estone Eesti Gaas [3].
Le società petrolifere e del gas russe sono dunque insediate direttamente sul territorio dell’Unione
Come si può desumere da questo quadro, l’integrazione nel settore energetico tra Unione europea e Russia riguarda ormai il livello industriale e non solo quello commerciale. Le società petrolifere e del gas russe sono dunque insediate direttamente sul territorio dell’Unione e in futuro competeranno con le società europee all’interno del mercato europeo.
Difficile volersi bene
I rapporti tra UE e Russia nel settore energetico necessitano dunque di una ormai indilazionabile politica unica europea nel settore, ma nonostante gli auspici contenuti nel recente documento diffuso dalla Commissione europea, si è ancora lontani da questo obiettivo, anche perché le decisioni in questo settore generalmente richiedono una decisione all’unanimità che quasi mai viene raggiunta.
Come ha messo in evidenza uno studio congiunto della Banca Mondiale e delle Nazioni Unite, i rapporti tra paesi esportatori e paesi di transito, sono notoriamente tra i più difficili da gestire, soprattutto quando manca un comune quadro giuridico di riferimento.
pericolo di nuove tensioni che possono insorgere tra paesi fornitori e paesi di transito
A fronte del pericolo di nuove tensioni che possono insorgere tra paesi fornitori e paesi di transito, si possono ipotizzare due risposte: una sul piano istituzionale e l’altra sul piano industriale.
Servono l’Agenzia europea per l’energia…
Sul piano istituzionale, occorre innanzitutto che la World Trade Organization estenda le sue competenze anche al settore dell’energia (investimenti diretti esteri, servizi di trasporto, ecc.) e quindi che i paesi che fino ad ora non ne fanno ancora parte (come ad esempio la Russia) diventino membri effettivi in modo che facciano proprie regole comuni di tutela degli investimenti diretti esteri e del trasporto di energia. In secondo luogo, occorre che la Russia si decida a ratificare la Energy Charter Treaty, firmata nel 1991, e che, pur con dei limiti, pone le premesse per la costituzione di un mercato dell’energia che la comprenda.
L’energia, però, non è una merce qualsiasi e, con il progressivo esaurimento delle riserve di petrolio e gas, lo sarà sempre meno, divenendo piuttosto un potente strumento di politica estera. In effetti, i contendenti ricordati all’inizio hanno tutti firmato e ratificato la Convention on the Recognition and Enforcement of Foreign Arbitral Awards (nota anche come “New York Convention”), ma questo, come già nel caso della disputa tra Ucraina e Russia, non si è rivelato un deterrente sufficiente ad impedire l’interruzione delle forniture da parte russa.
L’energia...diventa un potente strumento di politica estera
L’Unione europea deve quindi dare anche una risposta politica ed in attesa dell’entrata in vigore della Costituzione europea, che prevede l’istituzione di un Ministro europeo per gli Affari esteri, essa dovrebbe dotarsi di un’Agenzia per l’energia cui facciano capo le responsabilità in materia di sicurezza energetica, di realizzazione e tutela del mercato interno, di supervisione dei contratti di fornitura di energia dall’estero e di promozione dell’uso dell’euro come strumento di pagamento dell’energia importata. In questo modo, il potere contrattuale dell’Unione aumenterebbe significativamente.
…e una diversa politica industriale
Ma è sul piano industriale che i paesi europei potrebbero procedere più celermente, soprattutto per ridurre i potenziali pericoli nella sicurezza dell’approvvigionamento energetico. Basti pensare alla dipendenza dell’Italia dalle forniture di gas algerino ed alla dipendenza della Germania dalle forniture di gas e petrolio russi.
Un modo potrebbe essere quello di integrare le rispettive pipeline. Questa strada non è comunque facile, perché il settore dell’energia è un settore strategico e le resistenze sono molto forti, soprattutto da parte di quei paesi, come Francia e Germania, che già contano su società di rango mondiale e di cui vogliono ulteriormente rafforzare la capacità competitiva prima che il mercato europeo dell’energia sia effettivamente integrato.
una società europea di gestione delle reti per ridurre i pericoli nella sicurezza energetica
Pertanto, una proposta in questa direzione, perché abbia qualche speranza di successo, deve puntare sul punto di minor resistenza e quindi non riguardare le società di produzione di energia o quelle che la distribuiscono.
Una soluzione: la società europea di gestione delle reti
Il punto di minor resistenza sembra appunto essere costituito dall’infrastruttura di trasporto di energia, che è un monopolio naturale e svolge una funzione di interesse generale, tanto più che l’Unione europea, nella prospettiva del rafforzamento della concorrenza tra produttori di energia e distributori al dettaglio, ne chiede la separazione dalla produzione, al fine di incentivare l’accesso alle reti a più imprese.
Malgrado vi siano forti resistenze, da parte delle imprese e di alcuni governi, a separare le reti dalle società di energia, qualcosa si sta muovendo. Ad esempio, in una recente intervista, l’amministratore delegato della principale società petrolifera italiana si è dichiarato favorevole alla costituzione di una società europea di gestione delle reti [4].
In ogni caso, quei paesi che volessero procedere verso una politica europea dell’energia, senza farsi bloccare dalle resistenze dei governi più reticenti, potrebbero oggi farlo, ricorrendo allo strumento delle cooperazioni rafforzate.
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