Stati Uniti, una situazione in continua evoluzione

A republic, if you can keep it

, di Giulia Sulpizi

A republic, if you can keep it
Fonte: Riot Control at George Floyd protests in Washington DC, Lafayette Square, Wikimedia Commons, https://commons.wikimedia.org/wiki/File:Riot_Control_at_George_Floyd_protests_in_Washington_DC,_Lafayette_Square.jpg

Mai monito fu più puntuale di quello di Benjamin Franklin. Uscito dalla Convenzione di Philadephia, un passante gli chiese che forma di governo fosse stata scelta per i neonati Stati Uniti e lui rispose: “A republic, if you can keep it”.

Sorta sulle ceneri della Guerra di indipendenza e sulla scia delle teorie contrattualistiche di Hobbes, Locke e Rousseau, la democrazia nordamericana ha trovato fondamento nelle idee di libertà e di uguaglianza, ben presenti nelle menti dei padri costituenti. Questi ultimi rifiutarono la tirannide, i soprusi, le angherie che avevano dovuto subire dalla madrepatria ed elaborarono una nuova Carta che potesse portare stabilità e serenità al popolo delle colonie.

Non è un caso che, nel 1791, si ebbe l’approvazione dei primi dieci emendamenti della Costituzione americana, componenti il c.d. Bill of Rights, un insieme delle prerogative e dei diritti da attribuire a qualunque cittadino.

Ciò che i framers non si sarebbero mai aspettati, però, era di vedere l’invocazione del Primo emendamento, inerente alla libertà di manifestazione del pensiero, da parte dei sostenitori di Donald Trump, che, nella giornata del 6 gennaio 2021, hanno organizzato una manifestazione alle porte del Campidoglio, per far valere le loro rimostranze sulle ultime elezioni, da loro definite “truccate”. Hanno inneggiato a un complotto ordito contro il leader repubblicano per impedirgli di ottenere un altro mandato alla Casa Bianca. Si è parlato di brogli e inganni e si è messa in luce una profonda rabbia che agita una consistente parte della popolazione americana.

Ma non è stato questo episodio a destare scalpore agli occhi del mondo tutto. È stato l’assalto al Congresso, al Campidoglio, alla sede del potere legislativo degli Stati Uniti, che stava per porre in essere le procedure per riconoscere ufficialmente la vittoria del candidato democratico Joe Biden, a scatenare l’opinione pubblica e a causare la paura e lo sconcerto di chi, ancora, crede nei valori della democrazia.

Manifestare e battersi, pacificamente, per sostenere le proprie posizioni, per quanto esse possano apparire assurde o, financo irragionevoli, è un diritto, tutelato dalla Carta costituzionale del 1787, come da molte altre Costituzioni dei Paesi democratici. Cosa ben diversa è introdursi con la forza e armati in un edificio pubblico, scatenando caos e violenza.

Niente può giustificare un comportamento del genere.

Ciò che ha stupito ancora di più è stata l’iniziale fiacca resistenza della polizia, che non ha usato da subito delle decise misure di contenimento di tali rivoltosi. Svariate sono le immagini dei trumpiani che, in tutta calma, “sfilano” nel Campidoglio, avviandosi verso l’aula del Senato senza incontrare alcuna resistenza. Molti commentatori, e non solo, hanno notato che ben diverso era lo spiegamento di forze quando si era trattato della manifestazione, davanti al medesimo edificio, organizzata dal movimento Black Lives Matter. Segno, questo, inequivocabile dell’esistenza di due “Americhe” e della sopravvivenza di un conflitto etnico che affonda le sue radici nella schiavitù e nella guerra di secessione.

Ad ora quattro sono i morti nel corso dei tumulti e tredici i feriti. Tra questi, una vittima è venuta a mancare all’interno del Campidoglio stesso, colpita da un’arma da fuoco. Si tratta di Ashli Babbit, una veterana che ha prestato servizio nelle forze aeree statunitensi per quattordici anni. La donna ha forzato il blocco creato dalla polizia che ha, quindi, esploso dei colpi, uccidendola.

Sono scene da brivido quelle cui il mondo intero ha assistito nel giorno dell’Epifania, immagini che nel Paese di Benjamin Franklin non si erano mai viste.

A rendere ancora più inverosimile, se possibile, questa situazione sono state le parole pronunciate da Donald Trump, che ha sottolineato la sua versione dei fatti: in un video da lui postato sui social media, il Presidente ha invitato i manifestanti ad andare a casa, denunciando, però, allo stesso tempo, le frodi alle ultime elezioni presidenziali americane e arrivando a rivolgersi ai suoi – agitati – sostenitori con l’espressione “We love you”. Una condotta, questa, sconveniente. Perciò questo comunicato è stato rimosso da Facebook, YouTube e Twitter, che è arrivato a bloccare l’account di The Donald.

È una situazione nuova e mai vista, preoccupante.

Essa è la testimonianza che c’è qualcosa di più di un semplice senso di ribellione nell’elettorato trumpiano: c’è in esso una volontà di riscatto, di vedere fatta “giustizia”, di accettare le promesse di chi afferma di poter risolvere i problemi del Paese.

È un profondo malcontento quello che dilaga negli Stati Uniti, figlio di una politica che, per quanto in buona fede, è stata miope e non ha saputo dare risposte concrete alle istanze dei cittadini che sono “rimasti indietro”, dimenticati dalle istituzioni. Da qui, nasce l’esigenza di un Donald Trump che fa la voce grossa, che batte i pugni e che non si arrende nemmeno di fronte all’evidenza: il Paese non lo ha scelto, ma lui non ne è consapevole, forte di un consenso – comunque – ampio.

Ora si prospetta l’ipotesi di attivare il Venticinquesimo emendamento alla Costituzione americana, entrato in vigore nel 1963, all’indomani dell’assassinio di JFK, fino ad ora mai azionato. Si vorrebbe ottenere la rimozione del Presidente chiedendone la sostituzione, per evitare gravi attentati alla democrazia.

Niente sonni tranquilli, dunque, per Trump e, soprattutto, per Joe Biden e la sua Vice, Kamala Harris. La loro elezione è stata, infine, confermata dal Congresso e tutte le obiezioni riguardo alla legittimità delle operazioni elettorali sono state respinte, ma il Presidente uscente annuncia battaglia.

Non è finita qui, dunque.

Ma, soprattutto, non è finita nemmeno per la democrazia americana. Chi ha visitato gli Stati Uniti o ne conosce la storia comprende certamente il potere simbolico del Campidoglio: un edificio monumentale, sacro, un tempio della libertà e dell’uguaglianza, un luogo intriso di sangue e storia, di forza e responsabilità. Vederlo, dunque, preso in ostaggio da alcuni riottosi genera un senso di angoscia e di timore e dovrebbe farci riflettere. Ciò che è stato messo chiaramente in evidenza è, infatti, che le conquiste della democrazia e di un popolo libero non valgono per sempre, ma possono mutare, come la marea e il corso delle stelle.

Sta ai cittadini, dunque, farsi tutori dei valori dell’ordinamento costituzionale, con intelligenza, caparbietà e senso delle istituzioni.

Risultano profetiche, a tal proposito, le parole dell’Associate Justice Neil Gorsuch, che, nella sua opera edita nel 2019, avvertiva: “This republic belongs to us all – and it is up to all of us to keep it”.

Ciò significa ritrovare una coesione sociale e un saper vivere insieme che molti statunitensi hanno dimenticato. Vuol dire creare dei ponti tra le diversità, farsi forza nell’unità, nella consapevolezza di essere un solo popolo che, mai come oggi, sta lottando contro un nemico comune: il Coronavirus, che sta mietendo moltissime vittime nel Paese di George Washington.

Sarà, quindi, necessario rammentare il monito che Lincoln espresse, in tempi duri e violenti, di divisione profonda: “We must not be enemies. Though passion may have strained, it must not break our bonds of affection”.

I differenti punti di vista e le più disparate opinioni possono coesistere, ma solo se sostenute con civiltà e solidarietà. In caso contrario, caos e sopraffazione avrebbero la meglio, trasformando la democrazia nella tirannide di un giacobinismo senza fine, dove il popolo può azionare a suo piacimento la ghigliottina, senza processo e senza controlli, padrone di se stesso e schiavo delle sue pulsioni.

È la giustizia, invece, che dovrebbe animare la volontà dei cittadini. E se ci sono delle istituzioni, democraticamente elette, che rispecchiano la volontà del popolo secondo le norme stabilite, a esse ci si deve attenere.

Solo così si può salvaguardare una repubblica – e una democrazia – in crisi di identità.

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