Cosa sta succedendo tra Armenia e Azerbaijan?

, di Cesare Ceccato

Cosa sta succedendo tra Armenia e Azerbaijan?

Mentre l’Europa si trova ad affrontare una seconda ondata della pandemia che la tiene impegnata da febbraio e gli Stati Uniti si preparano a eleggere il loro presidente, tra Caucaso e Mar Caspio si combatte. Protagonisti del conflitto sono l’Armenia, l’Azerbaijan e il conteso territorio del Nagorno-Karabakh, sotto la stretta osservazione delle potenze regionali russe, turche e iraniane.

Situata nel Caucaso meridionale, al confine tra Europa e Asia, l’Armenia è uno Stato che, nel corso degli anni, ne ha dovute passare tante. Agli inizi del secolo scorso, con il territorio ancora sotto il dominio dell’Impero russo, si verificò il triste evento passato alla storia con il nome di “genocidio armeno”, sterminio in cui persero la vita più di un milione di persone e che, malgrado le numerose prove che indirizzano verso le autorità ottomane, nel 2020 non ha ancora un accertato colpevole. Nel corso della Rivoluzione Russa, l’Armenia fu rivendicata sia dall’Unione Sovietica che dalla Turchia e fu deciso di suddividere i suoi territori tra i due giganti. Solo circa vent’anni più tardi, nel 1936, fu costituita la Repubblica Socialista Sovietica armena. Ulteriore evento che sconvolse la storia del Paese si ebbe nel 1988, in un periodo contornato da disordini politici e da vergognose violenze etniche verso gli armeni nel vicino Azerbaijan, scoppiò nella provincia di Lori un terremoto di magnitudo 7.0 della scala Richter che portò alla morte di venticinquemila persone. L’importanza della tragedia si coglie dal fatto che il leader sovietico Mikhail Gorbaciov arrivò, addirittura, a chiedere immediato aiuto umanitario agli Stati Uniti, nonostante l’ancora in corso Guerra fredda.

L’Azerbaijan, il cui territorio, partendo dall’Armenia, si espande verso est fino al Mar Caspio, ha una storia ben più fortunata. Legittimato a creare la propria Repubblica democratica nel 1918 (tra l’altro, prima Repubblica democratica islamica al mondo), fu annesso all’Unione Sovietica solo quando il Cremlino si rese conto delle potenzialità del territorio. La ricchezza di petrolio dell’Azerbaijan, infatti, ingolosì Josif Stalin che, fino alla dissoluzione dell’URSS, trattò Baku con un occhio di riguardo. Durante la Seconda guerra mondiale la Repubblica Socialista Sovietica azera fornì la più alta percentuale del petrolio utilizzato dall’Unione Sovietica nel conflitto contro la Germania nazista. I tedeschi tentarono più volte l’occupazione di Baku per avere il controllo del petrolio azero, ma l’esercito sovietico resistette solidamente.

La storia del conflitto azero-armeno vede il suo episodio pilota, come prevedibile, con la fine dell’Unione Sovietica e il ridisegnamento dei territori che la componevano. Pomo della discordia, il Nagorno-Karabakh, enclave armena in territorio azero che fu assegnata al governo di Baku da Stalin. I due Paesi si affrontarono in una sanguinosa guerra durata più di due anni e terminata, nel maggio del 1994 (quando le autorità armene controllavano non solo l’intero territorio in questione, ma anche alcune zone azere), con il consolidamento come Repubblica de facto del Nagorno-Karabakh, Repubblica riconosciuta solo da tre Stati non appartenenti all’ONU.

Come si può ben immaginare, la questione Nagorno-Karabakh è oggi tutt’altro che risolta, ma per decenni, Armenia e Azerbaijan non sono tornati alle armi, fatto salvo il breve, ma comunque pesante, conflitto dell’aprile 2016 chiamato dagli abitanti del Nagorno-Karabakh la “guerra dei quattro giorni”, conclusosi con una repentina richiesta di cessate-il-fuoco dalla Russia, appoggiata dagli Stati Uniti. Nelle scorse settimane, mentre l’Europa si trovava ad affrontare la preannunciata seconda ondata del virus Covid-19 e gli Stati Uniti si preparavano alle elezioni presidenziali, nella Transcaucasica le bombe hanno ricominciato a esplodere.

Il come sia scoppiato tutto, stavolta, è estremamente incerto; è pacifico che nella mattinata del 27 settembre l’esercito azero abbia attaccato il territorio conteso, nella zona della capitale Step’anakert, per mezzo di missili e aerei, ma, secondo le autorità azere, l’attacco non sarebbe stato altro che una controffensiva a un’azione avvenuta qualche ora prima da parte delle forze armate armene. Certo è invece il risultato, una crisi totale della Repubblica del Nagorno-Karabakh, costretta a introdurre la legge marziale e la mobilitazione totale della popolazione maschile. I combattimenti sono continuati nei giorni seguenti, alternati a dichiarazioni spesso volte a generare un clima di terrore da parte del Ministero degli Affari Esteri azero, come quella per cui l’esercito armeno avrebbe preso intenzionalmente di mira località civili. La sera del 29 settembre, il colpo di scena, a parlare è il Ministro della Difesa armeno, non per negare una dichiarazione del Governo dell’Azerbaijan, ma per riportare la perdita di un proprio aereo da guerra abbattuto, a suo dire, da parte di un F-16 turco. Ankara ha negato ogni coinvolgimento, ma non sorprenderebbe vedere Erdogan entrare in gioco in un contesto bellico al fianco di uno Stato con cui i rapporti sono storicamente buoni, senza contare che la sua presenza potrebbe far fischiare le orecchie al Presidente russo Vladimir Putin sulla questione del Gruppo di Minsk.

Tale gruppo fu fondato nel 1992 dall’OCSE proprio al fine di trovare una soluzione al conflitto armeno-azero. Ne fanno parte rappresentanti di Armenia, Azerbaijan, Bielorussia, Germania, Italia, Portogallo, Paesi Bassi, Svezia, Finlandia e Turchia ed è co-presieduto da Francia, Russia e Stati Uniti. Tutt’oggi, il gruppo non è ancora riuscito a ottenere dai soggetti interessati la firma di un definitivo accordo di pace sulla questione, anzi, rileva critiche da entrambi. L’Armenia è scontenta del fatto che non vi rientri stabilmente alcun rappresentante del Nagorno-Karabakh, l’Azerbaijan sostiene che la posizione del gruppo sia troppo filo-armena e vorrebbe la sostituzione del co-presidente francese con uno di altra nazionalità, nello specifico (guarda caso) turco.

Il conflitto è continuato incessantemente fino al 10 ottobre, a porvi un’apparente fine è stata, come successo nel 2016, la Federazione Russa. Dall’annuncio del Ministro degli Affari Esteri, Sergej Lavrov, sembrava che i corrispettivi armeno e azero avessero concordato un cessate-il-fuoco per motivi umanitari dopo dieci ore di trattative, ma non passò molto prima che i due Paesi si accusassero l’un l’altro di aver violato l’accordo. Insomma, come per quanto riguarda l’inizio, anche sul termine degli attacchi è presente una forte ombra di incertezza.

La cosa sicura è che, purtroppo, dopo il rispettivo scambio di cadaveri e prigionieri, gli scontri sono ricominciati. Non ha sortito l’effetto sperato l’intervento del Presidente francese Emmanuel Macron, datato 17 ottobre, men che meno quello dell’inquilino della Casa Bianca Donald Trump, del 25. Per the Donald, nemmeno il tempo di un tweet di congratulazioni per l’accordo raggiunto tra il segretario di Stato Mike Pompeo, il premier armeno Nikol Pashinyan e quello azero Ilham Aliyev, che è giunta la notizia da Baku di un nuovo attacco subito.

In uno dei periodi più drammatici degli ultimi decenni per il mondo intero, la guerra tra Armenia e Azerbaijan prosegue costellata di misteri, dal livello di veridicità delle comunicazioni dei due Governi agli appannati interventi di Paesi esteri. La soluzione, come avvenuto per situazioni simili, su tutte quella del Kosovo che si ritrovava conteso tra Serbia e Albania, non potrà in alcun modo soddisfare tutti, ma va trovata alla svelta attorno a un tavolo e non, come si prova a far accadere da ormai trent’anni, su un campo di battaglia. Se teoricamente nel ruolo di protagonista ci dovrebbe nuovamente essere il Gruppo di Minsk, la repulsione di Baku verso la presidenza di questo potrebbe cambiare i posti a sedere. Impossibile anche solo immaginare l’assenza delle superpotenze Russia e Stati Uniti, così come, per ragioni geografiche e politiche, quella della Turchia. C’è poi da dire che sia Armenia che Azerbaijan, in passato, hanno accennato un cammino di avvicinamento all’Unione Europea. Se i primi l’hanno interrotto nel 2013, con la decisione di far parte dell’Unione doganale eurasiatica guidata dalla Russia, i secondi sostengono ancora oggi un forte dialogo con Bruxelles, quindi nemmeno si può escludere che pure l’Europa possa mettere bocca sul tema.

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