Continuiamo a parlare di Polonia e di come la democrazia in Europa sembra essere sotto attacco

Dall’allarme di Freedom House alla sentenza della Corte costituzionale polacca: la crisi della democrazia

, di Arianna Mappelli

Dall'allarme di Freedom House alla sentenza della Corte costituzionale polacca: la crisi della democrazia
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La Freedom House, l’ONG internazionale che conduce ricerche e indaga sui temi della democrazia, delle libertà politiche e dei diritti umani, afferma che le democrazie di tutto il mondo sono in crisi, e sono sempre più diffuse pratiche reazionarie in tutta Europa.

È emerso dagli studi degli ultimi anni che si sta assistendo a un declino generale che va peggiorando progressivamente. La pandemia di Covid-19, inoltre, non ha fatto altro che limitare le libertà di informazione in molti Paesi europei.

Gli Stati più colpiti da questa ondata oppressiva e antidemocratica risultano essere i Paesi dell’Europa orientale, in cui il mancato rispetto dei diritti umani, della libertà dei media e di quella elettorale, coincide con un maggiore avanzamento dei partiti politici di estrema destra e di un ritorno del sentimento nazionalista.

Esempi lampanti sono la Polonia e l’Ungheria che, nonostante abbiano intrapreso un percorso di democratizzazione una trentina di anni fa, sembrano essere regrediti di decenni, portando al deconsolidamento del sistema democratico e alla costruzione di una democrazia illiberale.

In questi Paesi, come in molti altri dell’UE, si stanno creando modelli di società chiusi che, nonostante i singoli Governi affermino il contrario, vanno contro quelli che sono i principi pluralisti, e limitano i diritti e le libertà.

La Polonia in questi giorni è al centro di un dibattito non poco delicato, che la vede camminare su un lago ghiacciato ormai sul punto di sgretolarsi. Ha fatto un passo piuttosto pesante affermando che la Corte Costituzionale polacca possieda il primato sulle leggi interne a discapito di quelle europee.

Il Primo Ministro polacco Morawiecki si è detto contrario a un’Europa che si occupa anche di tutelare i valori e l’equilibrio tra i poteri dei singoli Stati. Successivamente, ha dichiarato che i contrasti con l’Unione europea erano frutto di un enorme malinteso. Infatti, ha affermato che in realtà la Corte Costituzionale Polacca si sia limitata a dire che la Corte di Giustizia Europea stesse ampliando troppo la sua sfera di competenze. La Presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen in sede di Parlamento si è detta preoccupata per quanto accaduto a Varsavia, poiché mette in discussione la base dell’Unione europea e costituisce una sfida diretta all’Unità degli ordinamenti giuridici europei.

Dopo un lungo dibattito si è deciso per una posizione non troppo dura, perché questo rischierebbe di allontanare i Paesi dall’Unione con conseguenze sia politiche che economiche.

Anche se per qualche secondo, si è sfiorata l’ipotesi di una Polexit (l’uscita della Polonia dall’Unione europea) questa è stata subito negata, affermando che la Polonia non ha alcuna intenzione di uscire dall’Unione, e che è disponibile ad un dialogo.

Molti Paesi si sono schierati contro la presa di posizione polacca, mentre altri si sono posti in sua difesa, tra cui la Slovenia e l’Ungheria.

Ungheria e Polonia si sono unite contro il meccanismo di condizionalità che potrebbe sottrarre loro i fondi europei.

Questo meccanismo è una delle tre opzioni che sono state passate al vaglio del Parlamento Europeo. La prima era una procedura di infrazione contro la Polonia. La seconda prevedeva l’attuazione dell’articolo 7, chiamato “opzione nucleare” che consiste nel revocare alla Polonia il diritto di voto in sede europea. Opzione impossibile da attuare per la necessità del voto unanime da parte degli altri Paesi europei. La terza, quella più plausibile, legherebbe il bilancio pluriennale europeo al rispetto dello Stato di diritto.

Il Primo Ministro olandese Mark Rutte ha chiesto di usare una mano più pesante e di bloccare il Recovery Fund a tutti i Paesi con una guida autoritaria come la Polonia e l’Ungheria. Mentre, la Cancelliera tedesca Angela Merkel ha optato per delle decisioni più flessibili e che non aumentassero la spaccatura tra questi Paesi e l’Unione europea.

Ormai, l’allontanamento, per quanto graduale e impercettibile, c’è e finché a capo di questi Paesi saranno presenti partiti di estrema destra e profondamente nazionalisti, non ci sarà nulla da fare.

Il distanziamento tra l’Europa e i Governi di Paesi come la Polonia e l’Ungheria parte da delle incompatibilità di ideali e pensieri. Adesso, molto di più che qualche anno fa, questa incomprensione non si è fermata ai Paesi ancora in una fase di transito, ma si sta espandendo in Stati in cui la democrazia è più che affermata.

Il Corriere della Sera scrive che negli ultimi anni sono diminuiti il grado di libertà politica, civile e personale in tutto il mondo. Un grafico mostra come le democrazie coincidano con i Paesi più anziani. Non esistono Paesi con maggioranza giovanile che non siano illiberali o autocratici.

Per quanto l’invecchiamento delle democrazie sia un fattore positivo, che mostra il benessere di vita presente in Paesi liberi e tutelati, mette in evidenza come non si dia potere ai giovani. Gli anziani hanno difficoltà ad adattarsi ai cambiamenti e hanno una visione previdente del futuro, ma quando la loro generazione scomparirà come si trasformeranno i Paesi democratici? Come si possono tutelare le democrazie?

Un punto fondamentale, che in questo periodo risulta essere l’ostacolo più evidente, sono i nazionalismi e tutti quei partiti che guidano i Paesi lontano dalla visione europeista. L’Unione europea ha da sempre tutelato i diritti e le democrazie di tutti i Paesi aderenti. Una prospettiva antieuropeista è soprattutto antidemocratica, e andarsene significherebbe non solo rinunciare a tutti i benefici che essa comporta, per una sovranità inutile e pericolosa, ma abbandonare la popolazione che, non più tutelata, sarebbe in mano a qualsiasi tipo di oppressione e violenza.

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