Here comes the dictator

, di Daniele Armellino

Here comes the dictator

Durante le scorse vacanze di Natale, mi è capitato di leggere un libro che ho trovato molto interessante, che mi permetto di consigliarvi. S’intitola: Europa anno zero, il ritorno dei nazionalismi, scritto da Eva Giovannini.

Si tratta di un reportage realizzato visitando alcuni Paesi europei nei quali sta avvenendo l’exploit delle destre populiste e nazionaliste. La panoramica spazia su figure politiche importanti di questo mondo, come Marine Le Pen, Matteo Salvini, giungendo poi a un lavoro sul campo di conoscenza dei sentimenti popolari, durante le manifestazioni, i cortei, insomma, le occasioni di riunione da parte di cittadini europei convinti della bontà di queste idee.

E proprio in questi ultimi giorni, la lettura di questo libro mi è ritornata in mente, anche visti i risultati del referendum sulla questione dei migranti svoltosi in Ungheria domenica due ottobre.

Proverò succintamente a rinfrescarvi la memoria. Il Governo ungherese, guidato da Viktor Orban e dal suo Fidesz, partito di destra conservatrice e nazionalista, ha chiesto ai cittadini magiari di esprimersi riguardo al seguente quesito referendario: “Volete o no che l’UE possa obbligarci ad accogliere in Ungheria, senza l’autorizzazione del parlamento ungherese, il ricollocamento forzato di cittadini non ungheresi?”.

Ebbene, sappiate che per legge, in Ungheria questo genere di referendum, per essere ritenuti validi, deve raggiungere un quorum del 50% più uno dei votanti. Sappiate anche che questo quorum, in questa votazione non è stato raggiunto (ma immagino questo lo sapeste già).

Oltre il 56% dei cittadini aventi diritto, non si è presentato alle urne invalidando perciò, da un punto di vista giuridico, il voto di quel 43% di ungheresi che ci si era recato per manifestare la propria volontà, per esercitare la propria sovranità.

Giunti a questo punto, lasciate che condivida con voi qualche considerazione riguardo al risultato finale di questo referendum, riguardo, più in generale, alla scia che lascia di sé nell’Unione europea questa votazione, secondo me.

Vi anticipo che, per alcuni di voi, queste mie considerazioni potrebbero apparire un po’ controcorrente.

Infatti, conosciuti i risultati ufficiali delle votazioni, mi sono accorto che la maggior parte dei siti d’informazione registravano l’accaduto sotto la forma di un risultato positivo, che avrebbe potuto almeno un po’ riaccendere di speranza i destini dell’Europa, del progetto d’integrazione europea; ho letto articoli esaltanti la maggioranza dei tanti ungheresi, liberali ed europeisti pronti a disertare le urne in barba al governo e ai partiti xenofobi; ho letto commenti che assegnavano a questo evento il significato di un iniziale riconoscimento da parte dei cittadini magiari della sovranità europea riguardo la gestione delle frontiere esterne e dei flussi migratori, quasi fosse stata questa una tappa di un percorso ineludibile verso la federazione degli stati europei.

A dire la verità, non so se sia davvero ineludibile questo percorso verso la federazione.

Non so quanto sarà davvero irreversibile il processo di nascita degli Stati Uniti d’Europa.

Certamente, è ciò che spero succeda, è ciò per cui porto avanti la mia militanza politica, è ciò che ritengo sia più utile e proficuo per i destini del mondo nel suo insieme.

Ugualmente, però, non lo vedo, purtroppo, come un processo inarrestabile, anzi. Ciò che mi preoccupa, infatti, è proprio quel 43% di ungheresi che si è recato alle urne e ha votato praticamente dieci volte su dieci NO.

Quando Orban fu riconfermato alle elezioni politiche del 2014, ottenne circa la stessa percentuale di suffragi, poco più del 44%. È vero anche che, all’interno della percentuale dei votanti al referendum, andrebbe inserita anche la quota degli elettori di Jobbik, partito neonazista ancora più a destra di Fidesz nello scacchiare politico-elettorale ungherese, sempre più in ascesa nei sondaggi, di anno in anno.

Tutto ciò, però, non cambia molto la sostanza delle cose: quasi un ungherese su due approva, da un “osservatorio” più o meno destrorso, le politiche nazionaliste, xenofobe, eurofobe, portate avanti dal Primo Ministro Orban. Vi ricordo che la quota di migranti che l’Ungheria dovrebbe accogliere, secondo i computi del piano redistributivo della Commissione europea, si attesta attorno alla cifra di 1300 unità, non di certo numeri da invasione!

Orban, così come molti suoi colleghi per adesso all’opposizione in altri Stati europei, riscuote successo e consenso sempre maggiori tra i suoi concittadini; si richiama, nella sua retorica e nella sua politica, a concetti forti, efficaci e conosciuti, di grande presa in larghi strati della popolazione: Dio, Patria e Famiglia, come si evince anche dalla nuova Costituzione redatta da Fidesz nel 2012.

Ancora, citando il libro di Giovannini: “Orban, attaccando in ogni occasione possibile la «dittatura» di Bruxelles, nemica dell’autonomia dell’ex «granaio dell’impero», è riuscito nell’intento di far sentire la sua gente finalmente riscattata da un passato di vessazioni, stratificate come ere geologiche” (p.119) e si muove utilizzando l’Unione europea in una maniera paradossalmente duplice: da un lato come “spauracchio di un altro pericolo sovranazionale” (p.119), dall’altro come serbatoio dal quale attingere a piene mani denari.

Qui sta la questione, ritengo: forse il dato da tenere d’occhio non è tanto la consistenza delle varie e magari eterogenee opposizioni ungheresi, o polacche, o ceche che siano, che dimostrano di possedere, in tutto o in parte, un respiro più europeo, simile al nostro; forse, dovremmo iniziare a riflettere e agire un po’ di più su quel 43% che ha votato NO all’ingresso di 1300 migranti nel loro paese, che tollera che vengano mortificati dal loro Premier i sistemi di checks and balances come la Corte costituzionale, la Banca centrale ungherese, la Corte dei conti, la TV e la radio pubbliche, che sopporta che Orban vada a dichiarare in giro che si sta impegnando a creare una democrazia illiberale (!).

Ritengo modestamente, che alla manifestazione di Roma del 25 marzo 2017, dovremo evidenziare anche queste criticità, queste crepe sempre più evidenti nel nostro edificio europeo: che non sia solo una giornata di celebrazione, ma di riflessione, di denuncia di ciò che non va, di ciò che andrà al più presto ripensato, modificato, migliorato.

Per non sparire, per non finire. C’è solo una conclusione, che la soluzione sarà solo la federazione.

Fonte immagine Wikimedia

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