Idee sul futuro dell’Europa: unione fiscale, integrazione economica e digitale

, di Camilla Bastianon, Matteo Gori

Idee sul futuro dell'Europa: unione fiscale, integrazione economica e digitale

Eurobull.it, in collaborazione con la Gioventù Federalista Europea, propone per la prima settimana di maggio commenti e nuovi punti di vista sul documento Idee sul futuro dell’Europa. In chiusura alla Conferenza sul Futuro dell’Europa si ribadisce ancora una volta qual è la nostra di Europa, quale futuro si immagina, partendo da otto temi chiave. Oggi trattiamo unione fiscale e integrazione economica con Camilla Bastianon e digitale con Matteo Gori.

Leggi la versione completa del documento completo su unione fiscale e integrazione economica e digitale.

Unione fiscale e integrazione economica

Quando si parla di politica economica di un Paese, si fa riferimento a due diversi elementi: da un lato la politica monetaria, condotta da una banca centrale, e da un lato la politica fiscale, condotta dal governo. Nella teoria macroeconomica, entrambe le politiche sono autonome, ma influiscono sugli stessi fattori, ovvero PIL, occupazione, livello dei prezzi e tasso di interesse.

La necessità di un’Unione fiscale in Unione Europea è indissolubilmente legata alla necessità di avere strumenti per far fronte alle crisi economiche.

Infatti, considerando l’attuale framework in cui i 19 Paesi dell’Eurozona condividono una politica monetaria, ma conducono politiche fiscali autonome, il principale strumento di stabilizzazione in questi decenni e nel corso delle recenti crisi è stato proprio la politica monetaria.

Nonostante i notevoli sforzi compiuti sotto l’attuale presidenza di Christine Lagarde e la precedente di Mario Draghi, la BCE ha più volte ribadito come l’assenza di coordinamento tra le politiche fiscali dell’Eurozona limiti l’efficacia degli stessi interventi di politica monetaria.

La crisi legata alla pandemia da Covid-19 è stata l’occasione per una svolta, almeno parziale, in questa tendenza. Infatti, le istituzioni europee hanno lanciato una serie di iniziative ed azioni per far fronte a questa crisi a livello di Unione, e non singolarmente in ogni Paese sulla base delle sue disponibilità.

In questo senso, l’iniziativa più notevole è stata il piano NextGenerationEU. NGEU è uno strumento per la ripresa che ha l’obiettivo di fronteggiare i danni causati dalla pandemia e al tempo stesso gettare le basi per uno sviluppo europeo in materia di digitalizzazione, ambiente e resilienza.

La straordinarietà di questo strumento non si limita al suo valore simbolico di “risposta europea”. Il NextGenerationEU è infranto molti tabù che da anni tenevano congelata l’Unione, incluso l’emissione di strumenti di debito comunitario, la creazione di grants direttamente dal bilancio europeo, e la distribuzione proporzionale degli aiuti ai Paesi in base all’impatto subito. Per questo, negli ambiti più europeisti e federalisti, questa iniziativa è stata vista come un possibile, fondamentale primo passo verso un’unione fiscale europea, nonostante la sua natura emergenziale ed una tantum.

Chiaramente, quando questo strumento è stato designato, la preoccupazione maggiore delle istituzioni europee e dei Paesi membri era la ripresa immediata per scongiurare una crisi di lungo periodo. Da luglio 2020, molti fattori sono cambiati, e di conseguenza le priorità dell’Unione Europea.

Il caso più eclatante è sicuramente quello che riguarda l’invasione russa dell’Ucraina. Il dramma ucraino ha mostrato al mondo, ma in primis all’Unione Europea, che la dipendenza dal gas russo è una liability che non ci si può permettere.

Da questo punto di vista, gli obiettivi prefissati dal NGEU potrebbero subire uno slittamento, o almeno un ampliamento, per quanto riguarda per esempio la transizione energetica.

Questa situazione dimostra, una volta di più, come avere un bilancio europeo basato su risorse proprie, non limitato dagli interessi nazionali dei singoli Stati, sia indispensabile per garantire la stabilità dell’Unione.

Digitale

Tra le riflessioni che accompagnano il dibattito sulla politica estera e di difesa dell’Unione europea - e sulle sue mancanze - deve rientrare a pieno merito anche il tema della sovranità digitale, spesso lasciato agli addetti ai lavori ma che in realtà ha una forte connotazione geopolitica. Per questo è opportuno analizzare il tema del digitale considerandola una variabile politica, piuttosto che un semplice insieme di strumenti in mano a cittadini, cittadine e Governi.

Come sappiamo Internet nasce e si sviluppa principalmente per scopi militari e di difesa, salvo poi allargarsi a tutte le attività della vita quotidiana ed ambire ad essere quello spazio di libertà dove le informazioni possono essere a disposizione di tutti in qualsiasi momento. Inutile dire quanto questo fenomeno aumenti esponenzialmente giorno dopo giorno e quanto l’uso dei dati sia ormai una determinante fondamentale per prendere decisioni, ovvero, nel contesto politico, orientare il corso dei Governi, il successo di intere industrie, l’esercizio dei diritti e le relazioni internazionali.

Spesso lo spazio digitale viene considerato nel discorso pubblico come un elemento trasversale a molti settori e a molti ambiti, ma anche molto “tecnico”. Questo è sicuramente vero, ma da decenni “il digitale” è uno spazio che mette in luce questioni di politica estera e di sicurezza nazionale e internazionale, che pervade e determina il dibattito sul grande tema del governo della globalizzazione, diventando un vero e proprio terreno di battaglia tra grandi potenze.

Come lucidamente analizzato dallo IAI [1], sebbene il digitale, inteso come flusso di dati nel web, non abbia un territorio o uno spazio fisico definito, il governo delle infrastrutture (fisiche o virtuali), delle tecnologie, dell’archiviazione dei dati e del loro utilizzo dipende anche da dove ci troviamo, USA, UE, Cina, eccetera. Non è dunque improprio parlare di una geopolitica del digitale, ovvero del fatto che i rapporti di forza tra Paesi, istituzioni e grandi potenze sia oggi determinato anche dalla loro capacità e volontà di disporre, gestire e regolare i dati e le tecnologie.

Il ruolo delle tecnologie e la centralità dei dati nel contesto delle relazioni internazionali sono dunque un elemento di analisi fondamentale per capire il “peso politico” dell’attuale Unione europea nel suo rapporto con le grandi potenze.

Stando ai numeri, l’Unione europea rappresenta nel mercato digitale più un campo da gioco appetibile (con un mercato unico di 500 milioni di abitanti) che un protagonista a livello globale. Alcune cifre rendono chiaramente l’idea:

  • l’economia digitale andrà ad aumentare il PIL UE di 1.1% all’anno fino a raggiungere un 14% di crescita da qui al 2030 ma il 92% dei dati attualmente prodotti in Occidente è (e sarà) immagazzinato in server Statunitensi [2];
  • non ci sono aziende europee nei primi 20 brand tecnologici mondiali;
  • le cinque più grandi società tecnologiche statunitensi - Amazon, Google, Meta, Apple e Microsoft - hanno registrato una tale crescita per cui nel 2020 le loro entrate combinate sono cresciute di un quinto, arrivando a 1,1 trilioni di dollari, e la loro capitalizzazione di mercato collettiva è salita a 8 trilioni di dollari durante la pandemia;
  • le azioni tecnologiche statunitensi valgono ora di più dell’intero mercato azionario europeo per la prima volta nella storia e dal 2017 sono cresciute di una quantità superiore al Pil della Norvegia, investendo circa 20 miliardi l’anno in ricerca e sviluppo e infrastrutture critiche come cloud computing e data centers. Tendenze simili si possono riscontrare nel mercato cinese con Alibaba e Tencent.

In questo scenario, l’Unione europea prova a gestire questa situazione di assoluta dipendenza tecnologica e industriale sul piano della regolamentazione, con un bagaglio legislativo che negli ultimi anni sta avendo un certo successo anche nella fissazione di standard per quanto riguarda la cyber-sicurezza e la protezione dei dati (vedi la GDPR, il Cybersecurity Act, o il recente Regolamento sull’utilizzo dell’Intelligenza Artificiale).

Sul piano politico, sono consueti da un po’ anni i richiami alla necessità di raggiungere una sovranità digitale (detta anche “strategica”) [3]. Questo concetto può avere diverse sfaccettature, ma, usando le parole dello European Council of Foreign Relations, possiamo definirlo come la capacità di agire nel mondo in un contesto di totale interdipendenza, in cui il mondo digitale può generare crescenti minacce per la sicurezza di un paese e la democrazia. In questo senso, il tema è imprescindibilmente legato al tema della autonomia strategica richiamata spesso richiamata nel settore della difesa.

La questione della sovranità digitale europea è dunque parte di una ampia e annosa questione: la capacità dell’Europa di agire e svilupparsi in maniera autonoma in un mondo interdipendente, al fine di garantire le libertà dei cittadini europei in un mondo di crescente competizione geopolitica, oggi più che mai determinata anche dal mondo digitale.

Anche in questo ambito, l’attuale Unione europea fatica ad essere un interlocutore alla pari delle grandi potenze, e, nonostante apprezzabili sforzi di regolamentazione per aumentare la protezione dei dati, la sicurezza delle infrastrutture tecnologiche e l’oligopolio delle big tech, l’UE ha ancora molte sfide davanti per limitare la sua dipendenza tecnologica da USA e Cina e diventare attore determinante per la difesa dei suoi cittadini e l’affermazione di un modello alternativo a livello globale.

La difesa dei cittadini passa dalla protezione dei loro dati per fini privati o vessatori, da maggiori investimenti in innovazione per rendere l’industria digitale europea competitiva e aumentare la competizione sul mercato globale limitando il potere di poche grandi aziende e da maggiori capacità di intelligence e difesa dagli attacchi esterni che possono danneggiare il funzionamento di servizi pubblici, alterare le informazioni e i sistemi informativi fino ad arrivare a destabilizzare governi e democrazie.

L’affermazione di un modello alternativo passa dall’affermazione di un modello alternativo a quello americano e a quello cinese, come ben esemplificato da Francesca Bria in un recente intervento su Il Foglio [4]: “L’Europa può intraprendere una terza strada, oltre il Big Tech - il capitalismo della sorveglianza di Silicon Valley e il Big State - l’autoritarismo digitale che conosciamo dalla Cina, quella della Big Democracy - un nuovo umanesimo digitale, con un tocco europeo unico sull’innovazione, che garantisca la nostra autonomia strategica e competitività, la piena partecipazione democratica dei cittadini e dei lavoratori, che protegga i dati, l’ambiente e i diritti fondamentali delle persone”.

Esiste senza dubbio una Unione europea che politicamente, attraverso la regolazione, prova a garantire la concorrenza, agire nello scenario globale negoziando termini e condizioni con USA, Cina o Russia in un contesto multilaterale, e difendere i cittadini da pericolose ingerenze esterne.

Tuttavia, permangono elementi di parcellizzazione dello sforzo a livello nazionale che impediscono all’UE di agire come vero attore globale anche in questa nuova dimensione della politica estera e della difesa. Gli investimenti non sono sufficienti, l’implementazione delle Direttive a livello nazionale non avviene sempre con successo e c’è una scarsa collaborazione a condividere buone pratiche e dati all’interno dell’UE.

Si rende necessario dunque che anche nella dimensione digitale l’UE parli sempre più con una voce sola quando si tratta di difendere gli interessi dei cittadini europei in materia di dati e che abbia la capacità di farlo: con più risorse e con delle condizioni istituzionali tali da non vanificare le enormi potenzialità del mercato unico più grande del mondo.

Le riforme necessarie e le azioni da intraprendere in materia di politica estera e di sicurezza per rendere l’UE un attore strategicamente autonomo e capace di agire nel contesto globale devono dunque anche considerare le sfide che gli europei si trovano davanti nel mondo digitale.

Note

[3Juncker nel suo State of the Union 2018 dichiarava “it’s the hour of European digital sovereignty”, concetto ripreso anche dall’Agenda della Commissione Von Der Leyen

[4F. Bria, La sovranità digitale è la nuova dimensione della politica estera (2021) su IlFoglio.it. Accessibile a: https://www.ilfoglio.it/tecnologia/2021/04/06/news/la-sovranita-digitale-e-la-nuova-dimensione-della-politica-estera-2150260/

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