Eurobull ha intervistato Stefano Becchetti

Intervista a Stefano Becchetti

, di Davide Emanuele Iannace

Intervista a Stefano Becchetti
Foto originale di Antonella Papa, gentilmente concessa dal Comitato e dall’autrice

Ad Eurobull abbiamo avuto il piacere di incontrare Stefano Becchetti, presidente del Comitato Pratone Torre Spaccata Parco Archeologico e Naturale. Si discute di politiche locali, di attivismo e di verde urbano.

Iniziamo dalla domanda base per i lettori: qual è il problema che andate affrontando?

Direi che possiamo iniziare dalla nostra geolocalizzazione. Parliamo del Pratone di Torre Spaccata, sessanta ettari di Agro Romano, scampati all’edificazione nel corso degli anni, nonostante le varie revisioni regolatorie nel corso degli anni che prevedevano l’edificazione di qualcosa sul pratone. Lo definiamo Pratone perché di fatto è un pratone: non è curato come un parco, non ha alberature di particolare intensità. Ci troviamo nel Settimo Municipio, tra Torre Spaccata e Cinecittà. Topograficamente, le due arterie che lo delimitano sono Via Palmiro Togliatti e Via di Torre Spaccata. È un elemento di cesura tra due quartieri che da poco sono parte dello stesso municipio, ovvero Torre Spaccata e Don Bosco.

Il pratone è quindi uno spicchio di Agro Romano, che si trova in continuità geografica, culturale e ambientale con il Parco di Centocelle. Il Parco, grazie a Adriano La Regina, è tutelato da un vincolo ambientale, nonostante sia un parco incompiuto ad oggi. Manca ancora il completamento della bonifica dei rifiuti, ci sono ancora le attività di sfascia-carrozze nella zona Togliatti. Nonostante la vincolistica, non è mai stato realizzato completamente, considerando anche che era un polmone verde destinato anche per Torre Spaccata.

Il Pratone, ad oggi, è legato dal punto di vista urbanistico alle previsioni edificatorie del piano regolatore del 2003. In realtà, vi rientrava nella pianificazione urbanistica di Roma già dal ’65. Lo spazio di cui parliamo fu destinato ad essere il subcomprensorio Torre Spaccata, del comprensorio Centocelle; uno dei quattro comprensori dello SDO (Sistema Direzionale Orientale), che doveva formare un nuovo nucleo di edifici direzionali idealizzati negli anni ’60, per spostare tra i quartieri ad Est questi uffici direzionali e decongestionare il centro. Il SDO è stato accantonato definitivamente ad inizio anni ’90. Fallito lo SDO, si è iniziato a pensare a cosa fare con gli spazi ad esso destinati. Bisogna tenere in considerazione che già negli anni ’90 si era iniziato a pensare che ci fosse bisogno di molte più aree verdi nello spazio urbano, invece di altri edifici.

Dal piano del ’65, dalle discussioni del ’90, arriviamo al 2003. In Consiglio Comunale si vota il nuovo piano regolatore, che verrà approvato poi nel 2008 dopo le contro-deduzioni. Il Parco di Centocelle era già stato vincolato da Adriano La Regina grazie anche alla Carta dell’Agro Romano, prima ancora degli scavi della Soprintendenza capitolina. Risultavano nella Carta già delle risultanze archeologiche, scavate poi su stimolo delle archeologhe Patrizia Gioia e Rita Volpe, anche nell’area del Pratone – che però risulta non protetto dal vincolo. Tre libri sono stati dedicati solo a quest’area.

Nel piano del 2003, quindi, quest’area era a funzione da destinare. Diventa una delle venti centralità urbane, descritte come orgogli dei municipi. A seconda della zona, prevedevano diverse cubature da edificare. Il Pratone viene destinato a 400.000 metri cubi di costruzioni, su una superfice totale di circa 19 ettari. Il Comune ha aperto le controdeduzioni. I cittadini, insieme al Dipartimento di Architettura della Sapienza, elaborarono un progetto dal basso per proporre tutta una serie di funzioni dentro questa centralità – Dams, Museo del Cinema, cubature residenziali.

Quando si fanno le controdeduzioni quindi, i cittadini si proposero inizialmente quindi per definire un po’ cosa si andava costruendo, no?

Si, avevano per l’epoca un forte valore aggiunto. Era un progetto intelligente per il 2003, per quel quartiere, per come era previsto. Siamo nel 2003-04. Lo consegnano con 5000 firma in fase di controdeduzione. Nel gennaio 2006, sulla base di una decisione della giunta comunale, l’assemblea capitolina prevede un aumento delle cubature, fino a 1.100.000 metri cubi. Senza più traccia del progetto partecipato.

Viene di fatto cancellato nel 2006, aumentano le cubature di tre volte.

Esatto, scoppiano quindi delle proteste molto sentite da parte dei cittadini, considerando soprattutto l’anno di lavoro che aveva visto poi sorgere quella proposta dal basso. Proteste su proteste, cortei cittadini, il Pratone incartato a cavallo del 2006. A marzo 2006, viene emendata la controdeduzione e si scende a 600.000 cubature. In tutta questa storia, comunque un 50% in più di cubature rispetto quando progettato inizialmente. Quella è la previsione edificatoria che ancora oggi insiste nel Pratone. Questo piano regolatore, però, ad oggi lo considera anche un elemento secondario della Rete Ecologica di Roma. C’è una doppia classificazione catastale, ma questa della Rete Ecologica dice solo come costruirvi dentro. Ai lati del pratone si può costruire, ma va lasciato un corridoio di contiguità tra il dietro – verso i Castelli – e la parte successiva che va verso Centocelle.

Di fatto quindi da sedici anni si parla di costruire sul Pratone. Costruzioni che però vanno limitate in maniera evidente per il piano ecologico della città.

Esatto, vi sono dei limiti che sono indicazioni di come costruirvi. È coerente che vi sia una doppia denominazione, almeno mi sembra lo sia, parlo da non urbanista. È possibile costruire su 19 dei 60 ettari, in maniera anche regolata per rispettare l’area ecologica. est e ovest, come lati, permettono le due contiguità verso i Castelli e Centocelle.

Quel famoso piano dal basso del 2003, quello non parlava dell’area ecologica? Che fine ha fatto oramai?

Nella realtà non so esattamente che fine abbia fatto il progetto del 2003. Il Comitato che rappresento non lo persegue, né punta alla sua rimessa in campo. Si può riconoscere la bontà del progetto, che rimane però vecchio di vent’anni. La città ha continuato ad espandersi nell’area est. Molte delle funzioni pubbliche non sono mai state realizzate, ma non ha senso ad oggi farle sul Pratone. Il quartiere è pieno di edifici da rigenerare, riqualificare, in quell’ottica anche sancita tanto dal PNRR che dalle logiche di lotta allo spreco e alla salvaguardia ambientale. Roma è in debito di spazi verdi. Che siano progetti partecipati, o che sia Cinecittà o chiunque altro, lo scopo è non lasciare che il Pratone venga toccato da cubature di cemento.

Ecco, questo è importante. Il Comitato si concentra su un altro problema. Sappiamo che ad oggi ci sono 600.000 metri cubi da destinare a edificazione. Che vogliono essere destinati a cosa?

L’ente che possiede gran parte dell’area è Cassa Depositi e Prestiti che ha raggiunto nel 2021 un accordo con gli Studios di Cinecittà per vendere una consistente parte dell’area, 31 ettari, del Pratone, da destinare a realizzare teatri di posa e aree di shooting all’aperto.

Dal punto di vista politico, spesso veniamo descritti come rappresentanti di una vecchia dicotomia, quella tra sviluppo economico e ambiente. Chi ci accusa di questo, lo fa in maniera strumentale. Non diciamo che è illegittima l’istanza di Cinecittà che vuole espandersi, adeguarsi alle nuove logiche di mercato, rendersi competitiva. Vero è che Cinecittà ha 19 teatri di posa, due tensostrutture e una piscina dentro un parco per riprese all’aperto. Non essendo il mio campo, non giudico le necessità o meno di espansione. Diciamo noi: ci sono aree contigue a Cinecittà, compromesse da passate edificazioni, dove un progetto simile potrebbe prendere luogo, senza costruire nuove cubature su aree verdi dell’Agro Romano.

Quindi di per sé investire sulla rigenerazione di spazi edificati e mantenere il Pratone come area verde.

Non convieni con me che questo sia del tutto coerente con la transizione ecologica anche del Piano di Resilienza? Io sono convinto delle nostre ragioni. È facile accusarci con la classica retorica che siamo semplicemente contro lo sviluppo.

Riusciamo a costruire questo discorso in cui mettiamo bene in luce come non siamo contro lo sviluppo, ma per la difesa degli spazi verdi. Purtroppo, a volte non fa breccia. Siamo un movimento che fa politica, ovviamente, ma siamo apartitici, interfacciati con forze di governo e di opposizione. Non riusciamo a capire perché l’attuale giunta capitolina, per lo più, dinanzi le nostre istanze, risponda semplicemente che quello è il piano regolatore. Ma la politica deve subire il piano regolatore o usarlo per il bene della cittadinanza?

Io penso che sia possibile delegittimare tale scusante per due motivi. Per principio, perché se c’è un’area verde ancora senza cubature, va salvaguardata. In un momento di lotta al cambiamento climatico, in cui bisogna essere progettuali con la città, se non la edifichi in termini di servizi ecosistemici stai generando valore per la città. Nemmeno, guarda, entro nel merito di tutti gli spazi che potrebbero essere destinati a riqualifica. Però ci dice qualcosa che Cinecittà ha venduto in passato altri suoi spazi, reagendo a logiche di sviluppo e di mercato. Che succede se un domani quei teatri di posa nel Pratone non serviranno più? L’area sarebbe rovinata ugualmente, che siano usati, venduti, o qualsiasi altro futuro vi sia per queste cubature.

Una seconda argomentazione non è di puro principio. Viene fuori da una analisi del passato del Pratone, della programmazione urbanistica, degli interessi di capitale nell’area. Viene fuori, da dati pubblici, che non si è mai tenuto conto dei cittadini. C’è bisogno di un atto pubblico, coraggioso a modo suo, di rendere il Pratone un’area pubblica verde, metterla in contiguità con Villa Flaviana e il Parco di Centocelle, per preservarne storia e cultura.

Proprio su questo, vorrei chiederti innanzitutto qual è la storia del Comitato, quali sono state le azioni introdotte dal Comitato per raggiungere questo obiettivo e qual è il patrimonio artistico-culturale del Pratone stesso che hai prima messo in evidenza.

Inizio specificando che nel Comitato abbiamo una varietà di competenze. Io sono laureato in economia, ma abbiamo un archeologo, un esperto tecnico ambientale. Questo ci consente di costruire la nostra progettualità su delle basi più solide. Siamo nati per porci in continuità con le istanze dei cittadini verso il Pratone, tenendo a mente il cambiamento dei tempi e quindi le nuove esigenze. Collaborando con le persone che già si battevano per la tutela del Parco pubblico di Centocelle, abbiamo deciso di creare una realtà specifica per il Pratone, un comitato che già nella sua denominazione ha idea di proteggere il pratone e di valorizzare il suo portato naturalistico e archeologico.

Siamo nati nel Forum per il Parco di Centocelle. Dentro il Forum era rappresentato l’associazionismo a vario titolo, dalla comunità per il Parco di Centocelle stesso alla Parrocchia di Bonaventura, così come il Comitato di Quartiere di Torre Spaccata, tutte realtà sociali attive nel locale. Un Forum che si è sviluppato tanto anche al parroco di Bonaventura, Don Stefano Cascio.

Perché parco storico e naturalistico? Perché vi è, documentato fin dalla carta dell’Agro e dagli scavi citati prima della Soprintendenza, di Volpe e Gioia, pubblicate anche in un libro dedicato nello specifico al periodo dello SDO, un patrimonio storico. Dentro il Pratone vi sono resti neolitici, arriviamo a quattro ville romane di tipo residenziale-produttive (stesse ville anche di Centocelle e Villa Flaviana), e un casale medievale. Si coprono quattro millenni di storia. Rendiamoci conto dell’importanza. Se mettessimo insieme queste tre aree, sarebbe la seconda area dopo i Fori Imperiali. Non si vuole sminuire l’importanza dello sviluppo dell’industria cinematografica, e che è solo parte dello sviluppo di Pratone. Diciamo solo che siamo in debito di verde e cubature, e che forse è meglio rigenerare già aree edificate e compromesse piuttosto che sacrificare il verde pubblico.

Proprio al tema rigenerazione, hai citato già il PNRR e i piani post-Covid. Direi che il pratone ha avuto un suo uso durante i tempi di pandemia. Che possibilità ci sono per usare i fondi PNRR per salvaguardare il Pratone, spostare i progetti su altre aree da rigenerare già edificate?

Hai fatto bene a fare riferimento alla pandemia. Il forte interesse che ha suscitato il Pratone è dovuto anche a un nuovo rapporto, rinforzato proprio dalla pandemia, tra Pratone e cittadinanza. Dovendo evitare gli spazi di assembramenti e tutta quella serie di spazi usuali dedicati anche alle attività sociali, avere tutti questi ettari verdi ha aiutato, ha concesso una realtà da vivere per rispondere alle naturali esigenze dei cittadini nel periodo dei lockdown.

Per il PNRR, qui vi è una fortissima ambiguità. Il PNRR risponde a sei missioni per lo più. Parte dei fondi del PNRR verranno usati proprio per realizzare il progetto di Cinecittà sul Pratone. Per l’industria audiovisiva, sono destinati 300 milioni. Per questi teatri, ne saranno usanti settanta. Eppure, abbiamo fatto presente che nel PNRR vi è il principio del Do Not Significant Harm, ovvero non usare i fondi per realizzare progetti che potrebbero arrecare danni ambientali. Mettere un solo metro cubo di cemento su un’area come questa, è fare danno ambientale.

È stato fatto presente alla politica, che ha risposto che però la missione dei fondi destinati a Cinecittà è quella dello sviluppo delle attività culturale. Mi chiedo: possibile che il PNRR permetta un rapporto antitetico tra missioni, tra una missione culturale e quella ambientale, andando anzi a danneggiare la transizione ecologica? Non abbiamo avuto risposta a ciò. Ma è una cosa che bisogna mettere in evidenza. C’è la possibilità di veicolare fondi del PNRR per realizzare il parco archeologico, anche? Secondo me sì, perché si lega tanto a attività culturali che alla transizione ecologica. C’è tanto che si potrebbe fare con quest’area, ma bisogna capire se la politica è pronta a fare il salto di qualità nella pianificazione, di fare il salto dalla dicotomia tra sviluppo-aree verdi, che si può fare, ma bisogna smetterla di fare solo green wash. Nulla è più sostenibile di un parco. Nulla ha meno impatto di salvaguardare uno spazio verde.

Il Comitato ha fatto una raccolta firma da portare al comune, che è il modo con cui vi ho conosciuto, che richiedeva questo cambio di scopo.

Siamo partiti, con l’attività del Comitato, pensando che fosse fondamentale portare la Soprintendenza a mettere dei vincoli sull’area come a Centocelle, pensando che ciò avrebbe aiutato a cambiare in seguito i piani regolatori. Dato che però nel dicembre 2021 si è iniziato, dopo la vendita, a parlare di un cambio d’area da formalizzare entro ottobre ’22, ci siamo accorti che il tempo andava finendo. Senza risposte dalla Soprintendenza, ci siamo mossi direttamente per il Comune, usando lo strumento di iniziativa popolare per spingere una modifica al piano regolatore e reinserire come parco il Pratone, in cui si va inserendo anche un discorso di associazionismo nel quartiere e tra quartieri. La stessa petizione che abbiamo messo in campo non è una di quelle tante che puoi trovare online.

No, infatti. Già che bisogna usare lo SPID per accedervi gli dà legittimità.

Si, perché è uno strumento nuovo e istituzionale, che si accompagna a quelle cartacee, in cui però c’è bisogno di passaggi ulteriori, come l’identificazione come SPID o carta d’identità elettronica. Uno strumento sicuramente importante e autorevole, ma limitante perché taglia con chi non ha questi strumenti.

Ma tale petizione può essere accompagnata da quella cartacea?

Ad oggi no, per motivi di regolamento. Non abbiamo comunque scartato la possibilità di passare a forme anche semplificate e tradizionali, come quella cartacea con i tavolini per strada, o quelle su Change.org. Ad oggi, la forma che abbiamo scelto ci appariva la più efficace, anche perché istituzionalizzata. Nello statuto cittadino, è previsto che superato il vaglio di conformità bisogni ricevere una risposta entro sessanta giorni. E siamo anche la prima petizione per ora nella città, con oltre 2700 firme registrate.

Evidente che c’è una certa attenzione quindi al problema. E chiedevo perché strumenti nuovi, in qualche modo, tendono a tagliare alcune fasce di popolazione. Mi chiedevo proprio se questo tool fosse possibile da usare con strumenti vecchi.

No, purtroppo non sono collegabili secondo lo statuto. Forse c’è un certo livello di discrezionalità da parte degli ufficiali pubblici di unirle, ma non è nel regolamento.

Ultima domanda: oltre al livello locale, avete mai avuto opportunità e modo di interagire con il livello nazionale, o anche europeo?

Noi vorremmo fare il salto, e rivolgerci alla Comunità Europea, visto che parte dei fondi per gli Studios vengono elargiti proprio del PNRR. Allo stesso tempo, vorremmo legarci alle istanze portate avanti da movimenti come i Fridays For Future, che riteniamo essere totalmente compatibili. Tematiche come quella ambientale, che ci riguarda da vicino, vanno rivendicate in maniera collettiva e su più scale. Ci vogliamo rivolgere anche a questo mondo, sia istituzionale che no. Non lo abbiamo ancora fatto perché pensavamo, e siamo convinti, che lo sforzo politico a livello comunale-locale potrebbe già essere sufficiente per vincere questo tipo di battaglia. Serve un atto politico di grande coraggio, ma dopotutto, è il senso del voto. Se voti per affidare le decisioni politiche, lo si fa auspicandosi che poi si prendono delle decisioni forti.

Perché parlare del Pratone?

Ad oggi, lo spazio urbano rimane forse uno degli spazi che, più di tutti, ha da un lato mostrato i limiti dello sviluppo capitalistico sfrenato, le sue contraddizioni e le sue problematiche; dall’altro lato, è quello che ha anche avuto la capacità e spazialità di attivare processi di attivismo, partecipazione e cooperazione civica su scala locale.

Il cittadino è toccato dalle trasformazioni urbane, e non per questo però le subisce in maniera passiva. Piuttosto, reagisce continuamente agli stimoli che piovono dalle pratiche di sviluppo, ergendosi tanto a baluardo del proprio patrimonio artistico e culturale, nonché economico, locale. Contemporaneamente, si fa promotore di pratiche alternative che spesso spariscono sotto gli occhi delle macro-amministrazioni e degli attori multi-scalari.

Il Pratone di Torre Spaccata rappresenta pienamente questa capacità degli attori locali, quelli civici, che non sono vicini ai cittadini ma piuttosto sono i cittadini stessi, di avere bene a mente quale futuro vogliono destinare agli spazi loro circostanti. Ci viene mostrato in maniera chiara dal fatto che, al netto di vecchi piani regolatori romani, i cittadini si rendano conto di quali sono le neonate, nuove urgenze a cui far fronte – che non sono ancora state canalizzate dalla politica in maniera efficace dentro il piano stesso.

Ancora, ci viene mostrato dalle molteplici attività condotte dal Comitato sul territorio, come ad esempio i seminari, le passeggiate, attività che si legano a un profondo percorso di riflessione, scoperta e informazione del proprio patrimonio artistico e culturale, patrimonio che anche personaggi politici come il ministro Dario Franceschini hanno messo in prima pagina – come nel libro Con la cultura non si mangia?”.

Al netto dell’interesse verso le attività culturali, diventa chiaro ed evidente come l’azione europea abbia riflessi, diretti e indiretti, dentro lo stesso spazio urbano nel momento in cui va a inserirsi in tali processi. Ma come lo fa, e che domande dobbiamo porci a riguardo? Questo vuol dire fare due passi indietro, e tornare anche a pensare e ripensare l’azione pubblica di governance europea e i suoi impatti sulla scala cittadina. Piani come il PNRR, che si pongono in continuità con il Recovery Fund della Commissione, hanno la possibilità di diventare lo specchio dell’azione europea su scala locale.

Piani di sviluppo come quello degli Studios di Cinecittà, in accordo con Cassa Depositi e Prestiti, riprendono modalità oramai arcaiche e superate di mostrare le potenzialità dello spazio urbano, legandolo alla possibilità di cementificazione, in contrapposizione non solo con le istante dei cittadini stessi, ma con la possibilità di trasformare il verde in patrimonio, sia culturale che naturalistico, dagli impatti possibilmente ancora più positivi – e a voler essere puramente pragmatici, dalla potenziale ricaduta economica maggiore.

Riflettere su come l’Unione possa impattare meglio e bene sulla vita dei cittadini nello spazio urbano non è mero esercizio di riflessione, ma può diventare critica costruttiva di come, saltando quella scala nazionale spesso limitante e limitata, si possa realizzare quel senso anche di comunità europea che, di fatto, è l’obiettivo del processo di integrazione. Non mera politica, né economia, ma la capacità di modellare lo sviluppo secondo logiche nuove, e soprattutto logiche coordinate tra chi quello sviluppo lo spinge – per profitto o per mandato – e chi invece lo sviluppo deve viverlo, e deve viverlo in termini nuovi, innovativi, soprattutto sostenibili.

Trovate il link alla petizione direttamente sulla pagina online del Comitato, qui.

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