Passaporto comune: un grande passo verso il federalismo?

, di Justin Horchler , tradotto da Giulia Zappaterra

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Passaporto comune: un grande passo verso il federalismo?
(Fonte: Pixabay)

OPINIONE. Un passaporto comune a tutti i cittadini dell’Unione europea permetterebbe di rendere concreta tale cittadinanza e di riunire i 27 Stati membri intorno a un nuovo simbolo.

Un amico di nazionalità cinese mi mostra il suo passaporto. Lungo le pagine si susseguono meravigliosi paesaggi urbani e naturali. Esibisco allora i miei, a cominciare da quello americano. Il documento di viaggio è simile: scenari da cartolina con citazioni di grandi personaggi storici del paese. Poi passo a quello francese. Rimane deluso nel vedere una sbiadita rappresentazione delle diverse regioni sotto forma di carta geografica. Nota invece che ogni informazione è riportata in dodici lingue (quelle ufficiali dell’Unione europea in seguito all’estensione del 2004). Gli spiego che, secondo l’articolo 9 del trattato di Maastricht, “è cittadino dell’Unione chiunque abbia la cittadinanza di uno Stato membro”. Perciò, essendo io francese, godo anche dello status di cittadino europeo. Il passaporto è dunque disponibile in diverse lingue europee che credevo scelte in quanto più diffuse per simboleggiare tale cittadinanza e facilitare la comprensione dei diversi dati (ignoravo che la spiegazione fosse di tutt’altro genere; i nuovi cambiamenti non sono ancora stati presi in considerazione sui passaporti francesi, così come le nuove grandi regioni). Inoltre, i passaporti europei si somigliano per diversi aspetti – colore, informazioni, formato. Di conseguenza, se nel vecchio continente possiamo beneficiare dello stesso status e di passaporti simili, perché non creare semplicemente un documento comune a tutti i cittadini europei?

Simboleggiare l’unità

Un passaporto con i colori dell’Unione europea sarebbe un grande passo avanti per il federalismo. Ogni cittadino dell’Unione utilizzerebbe uno stesso documento di viaggio facilmente identificabile. Vi sarebbero impressi i simboli europei e nelle pagine interne comparirebbero illustrazioni di vari paesaggi del continente. Ogni titolare di tale documento sarebbe quindi consapevole della propria appartenenza alla comunità e del suo status.

Il 19 settembre 1981 fu questa volontà di armonizzazione a spingere gli Stati membri riuniti in Consiglio ad adottare una risoluzione. Si trattò di un atto non vincolante, ma che mirava a incoraggiare i 27 Stati a uniformare i documenti di viaggio. I dati personali presenti sulla pagina d’identificazione sono identici e disponibili in tutte le lingue ufficiali dell’Unione. Per le altre informazioni è raccomandato l’uso della lingua nazionale, del francese e dell’inglese. Queste somiglianze sono un argomento aggiuntivo per un passaporto comune.

In seguito alla sopracitata risoluzione, le copertine dei passaporti di tutti gli Stati europei, tranne la Croazia, sono oggi rosso bordeaux. Un colore non più molto adatto. Da un lato perché è spesso associato a nazioni anticamente o attualmente comuniste, o con una predominanza di rosso nelle bandiere. Dall’altro lato perché l’Unione è sempre associata al blu (colore scelto ad esempio per la carta blu europea o per il lasciapassare dei funzionari europei). Il blu potrebbe diventare il colore che riunisce gli europei, associato ai viaggi e alle condivisioni permessi dai passaporti.

Una nuova tappa nella costruzione europea

Un passaporto comune avrebbe dunque un peso simbolico importante, ma anche conseguenze giuridiche. Non sarebbe forse troppo pesante dover scrivere tutto in 24 lingue? Non si presenterebbe quindi l’occasione di promuovere una lingua che possa essere condivisa da tutti gli europei?

Probabilmente nel documento verrebbero impiegati l’inglese (lingua predominante nel XXI secolo) e la lingua nazionale del titolare. Se l’inglese non fosse scelto come lingua principale dell’Unione europea, una terza lingua risulterebbe necessaria. Il latino e l’esperanto sono idee avanzate regolarmente. Il presente articolo non mira a trattare questa questione, ma un passaporto comunque sarebbe indubbiamente una meravigliosa opportunità per farlo.

Riguardo al rilascio di detto passaporto, sorge una domanda. Chi determinerebbe i modi per ottenerlo? Sarebbe di competenza nazionale o diventerebbe materia europea? Al momento la cittadinanza europea è subordinata a quella nazionale. Un domani il passaporto potrebbe rendere la cittadinanza di competenza dell’Unione. Per ottenere la cittadinanza europea sarà necessario presentare domanda di naturalizzazione o di riconoscimento a un’istituzione europea ad hoc. Il Parlamento europeo e i vari organi deciderebbero le diverse modalità di attribuzione (riguardanti ius soli, ius sanguinis e il diritto alla naturalizzazione). Un cittadino europeo verrebbe associato a uno Stato nazionale in base alla residenza, come negli Stati Uniti.

Che ne sarà degli abitanti in territori sotto la giurisdizione degli Stati membri dell’Unione europea, ma che non fanno parte della comunità? È il caso dei danesi delle isole Fær Øer o dei francesi della Nuova Caledonia. In questa situazione, gli Stati membri sarebbero sempre liberi di rilasciare il proprio passaporto nazionale, in quanto il nuovo passaporto blu sarebbe riservato esclusivamente ai cittadini europei.

Potrebbero venire istituiti nuovi diritti. Ogni cittadino avrebbe il diritto di votare a tutte le elezioni dello Stato nel quale risiede, ma sarebbe privato del voto nel proprio Stato di nascita (come richiedono alcune ONG tra cui Voter Without Borders). Così avviene negli Stati Uniti, per esempio. Oggi, un belga che risiede in Francia può votare solo alle elezioni europee e alle municipali francesi. Invece non può essere eletto come primo cittadino. Un domani potrà partecipare alla vita democratica del luogo in cui abita, diventando sindaco o persino Presidente della Repubblica! Per gli europei all’estero il voto verrà espresso nell’ultimo Stato di residenza (per posta, via telematica o al consolato). Il passaporto comune non è che simbolico, ma apre ugualmente la via a nuove riforme che ampliano i diritti dei cittadini europei.

Una potenza diplomatica

Il passaporto comune incoraggerebbe una riforma dell’apparato diplomatico europeo. Dopo il Trattato di Lisbona le delegazioni dell’Unione europea hanno acquisito nuove competenze, sia politiche che amministrative. Un cittadino rumeno può per esempio rifare il proprio passaporto all’ambasciata di Francia in Mali, in assenza di un consolato del proprio paese. Una fusione delle ambasciate e dei consolati nazionali in una rappresentanza europea sarebbe vantaggiosa per maggiori coerenza e forza d’azione esterna, permettendo inoltre un notevole risparmio. Ogni Stato membro sarebbe rappresentato da uno o più delegati in seno a queste istituzioni, sul modello, per esempio, del Belgio, in cui sono presenti delegati all’economia, al commercio, alla cultura e alla politica per assicurare gli interessi della propria regione.

I cittadini di Stati come la Croazia, la Romania o la Bulgaria beneficerebbero di un passaporto comune anche a tedeschi e finlandesi. Infatti, questi tre paesi permettono l’entrata senza visto in 103 paesi, al contrario di Germania e Finlandia che ne contano 112. È probabile che, se un passaporto europeo vedrà la luce, il numero di Stati che autorizzano viaggi senza visto dall’Unione si avvicinerebbe a quello della Germania e non a quello della Romania, per via del peso economico del blocco e del numero di turisti potenziali.

Perciò, un passaporto comune sarebbe un gran bel passo in avanti per la costruzione europea, sia sul piano simbolico che sui piani politico e giuridico. Certo, i reticenti saranno numerosi, ma non è sempre così all’arrivo di una novità o di un cambiamento?

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