Sull’autonomia differenziata, e i suoi problemi

, di Stefano Orlacchio

Sull'autonomia differenziata, e i suoi problemi

Finalmente siamo quasi giunti all’epilogo di mesi complessi e ricchi di dibattito: in Senato è stata approvata la tanto discussa ‘Autonomia differenziata’ (d.d.l. 615/24), prevista dall’art.116 della nostra Costituzione, con 110 voti favorevoli. Attendiamo solo lo scontato esito dalla Camera dei Deputati.

Si sono manifestati plasticamente tutti i posizionamenti dei vari partiti in merito alla c.d. ‘riforma Calderoli’, con la maggioranza compatta a suo favore e le opposizioni pronte alle barricate in contrapposizione a un provvedimento che mette a repentaglio l’unità nazionale. È qui che si svolge l’intera battaglia: sul significato che si dà alla parola ‘unità’, festeggiata ogni anno il 17 marzo, e su come questa riforma possa andare a impattare su di essa.

Ma andiamo in ordine.

L’autonomia differenziata consente alle Regioni di poter negoziare con lo Stato 23 materie per averne competenza esclusiva. Alcune sono più basilari e controllabili, come il governo del territorio, altre rischiano di avere conseguenze abbastanza incalcolabili ad oggi, come - per citarne alcune - rapporti internazionali e UE, energia, istruzione.

Quella di negoziare competenze è una possibilità sottoposta però ad un obbligo: garantire i famigerati LEP (livelli essenziali di prestazione). Sulla definizione di LEP si sta discutendo da molto, vi è una commissione ad hoc presieduta da Sabino Cassese, già Giudice della Corte Costituzionale e noto giurista italiano, la quale sta portando avanti il dibattito in maniera secretata.

Non avremo notizie sul come verranno stabiliti tali livelli se non tra un anno, quando probabilmente la legge già sarà stata approvata da entrambe le Camere del Parlamento, come non sapremo in anticipo quanto verrà a costare alle casse dello Stato questo provvedimento. Le premesse non sono propriamente delle migliori, basti pensare che da quando alle Regioni è stata conferita la competenza esclusiva in materia sanitaria la maggior parte di queste è in deficit o - nella migliore delle ipotesi - ha sviluppato sistemi di sanità privata integrata. E questo è stato solo un primo esperimento di autonomia differenziata, immaginiamo cosa potrà accadere dopo.

Il nostro compito non è però prevedere il futuro, ma cercare di capire che obiettivo si vuole raggiungere con questo ddl.

A detta della maggioranza è la necessaria prosecuzione del percorso avviato nell’ormai lontano 2001 con la riforma del Titolo V, che inserì in Costituzione l’autonomia differenziata e che modificò in generale il rapporto Stato-Regioni in base al fondamentale principio della sussidiarietà, ossia far amministrare l’ente più vicino al cittadino, nei limiti della basilare erogazione di un servizio.

Stiamo comunque parlando del 2001, quando l’Euro non era ancora entrato in vigore nella nostra quotidianità, si parlava di movimenti no global, l’Italia non aveva vinto il mondiale, l’Unione europea contava solo 14 Stati membri, non esistevano la crisi del 2008-11, il Governo Monti, il Covid, il Next Generation EU. Stiamo sostanzialmente parlando di un’era geologica fa, dove il mondo appariva quasi perfetto, il futuro idilliaco e sembrava che i giovani avessero come unico onere quello di studiare per loro stessi senza necessità di combattere ogni giorno per garantirsi un futuro accettabile e dignitoso.

Oggi viviamo in un mondo in bilico, vessato dalle guerre e dalle crisi, nel quale si dovrebbero unire i popoli sotto la stessa bandiera, cercare di mettere insieme gli interessi particolari per raggiungere la pace e migliorare le condizioni di tutti i cittadini.

Dopo che abbiamo sentito parlare di Stati Uniti d’Europa, di debito comune e di Istituzioni comuni europee, in Italia si parla di come distribuire i finanziamenti tra le 20 Regioni in base alla spesa storica, criterio che immagina i finanziamenti basati su quanto è stato speso da una Regione in un settore, che non tiene conto di quanto quel territorio ha bisogno effettivamente.

Il sottotesto che interpretiamo in questo disegno di legge è chiaro: in un mondo dove solo i più forti vanno avanti, dove non è efficiente aspettare e sostenere i territori in difficoltà, laddove avremmo bisogno di uno Stato presente davvero, che non faccia passerelle e proclami, ci troviamo uno Stato che dà il via libera a chi oggi ha più possibilità di correre via e che lascia indietro chi arranca, trovandosi talvolta a dirgli anche che è colpa sua, perché non sa gestire i fondi che gli vengono dati.

Questo è il messaggio che la società ci racconta e che questo Governo ha pienamente interiorizzato e interpretato; messaggio verso cui abbiamo l’obbligo morale di opporci, per immaginare una società giusta, equa, sussidiaria e non esclusiva, sotto la bandiera dei valori di pace e libertà.

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